LODI
Molti tipi di biodiversità, soprattutto quelli più rappresentativi per il nostro paese, dipendono dalle pratiche agricole e forestali e quindi da una presenza attiva dell’uomo, non dalla sua assenza. La diversità del paesaggio e quindi il complesso mosaico degli usi del suolo un tempo molto diffuso sia nel nord che nel centro del paese è particolarmente ricco di biodiversità. Di tutte specie animali che caratterizzano questi paesaggi, spesso di origine medievale e che più colpiscono la nostra sfera emozionale, le rondini sono sicuramente fra le più note al grande pubblico. L’articolo spiega che, oltre ai pesticidi, i concimi chimici, od altre forme di inquinamento, è soprattutto la scomparsa di quei paesaggi rurali storici che con molte difficoltà si cerca di salvaguardare la causa della loro riduzione.
I primi gruppi, quelli che hanno passato l’inverno nel centro e nella parte più meridionale dell’Africa, sono già in viaggio. È la traversata che li riconduce in tutta Europa, dalla Pianura Padana fino alla Scandinavia, ai nidi dove sono nati o che comunque i loro genitori hanno frequentato. A spiegare quanto dura sia la migrazione, basta una stima: solo il 35% delle rondini riesce a concludere andata e ritorno. E se riesce anche a fare il grande salto sul mare per sorvolare il Vecchio Continente, non trova più l’ambiente accogliente e sicuro di un tempo. Gli studiosi lo dicono da tempo, e anche gli osservatori di città se ne sono accorti da anni: le rondini sono sempre meno numerose. Ora lo studio avviato nel 1999 dal Parco Adda Sud con un censimento e un paziente lavoro di monitoraggio ha raggiunto la consistenza che permette di dare una forma più precisa a questa diminuzione, marcata nella nostra area molto più che nel resto d’Europa. Nella zona fra le province di Cremona e Lodi il numero dei nidi è calato del 70% in 15 anni: le coppie nidificanti erano 4.437, nel 2014 eravamo scesi a 1.520.
Con la pubblicazione curata da due ricercatori dell’Università Bicocca che viene presentata oggi (ore 18) nella sede del Parco Adda Sud, Renato Ambrosini – che cura lo studio sin dall’inizio -, e Federica Musitelli – dottoranda impegnata dal 2011 -, chiudono un capitolo che nella spiegazione del «lungo addio» delle rondini include ancora una volta temi alla ribalta nella ricerca e nel dibattito sulla biodiversità e sulla sua tutela, sull’evoluzione del clima e sulle prospettive dell’agricoltura. Del resto, il censimento delle colonie nel territorio del Parco (35 comuni fra Lodi e Cremona) è iniziato con 107 cascine, salite a 169 nel 2011 e scese poi a 94 nel 2013. Chiudono le stalle perché il prezzo del latte è troppo basso, e se ne vanno anche le rondini che si cibano dei molti insetti in volo intorno a vacche e scrofe: una sintesi neanche troppo estrema. Le rondini – che da noi sono diminuite di circa il 7% all’anno, sempre a partire dal 1999, mentre nel resto dell’Europa il calo è intorno all’1% – spariscono anche perché la monocoltura ha cambiato faccia alla campagna, per esempio facendo scomparire siepi, filari di alberi e zone umide, habitat di molte specie di cui gli uccelli si cibano: oggi il mais, frumento e riso occupano il 60% delle campagne lombarde e il 40% del totale nazionale. Il recupero degli usi del suolo tradizionali fino a qualche decennio fa (nell’Apennino sono scesi da 89 a 22, secondo Mauro Agnoletti dell’Università di Firenze), del resto, sono anche al centro delle regole della nuova politica agricola europea, in vigore da quest’anno.
Si possono aiutare le rondini? Oltre al recupero di un’agricoltura e ad allevamenti meno «industriali», la ricerca ricorda che la legge vieta di distruggere i nidi (una mensola basta a raccogliere lo sporco) e che, ristrutturando, basta una struttura a trave per accogliere una famiglia co le ali.