Fra i tanti riferimenti su cosa dobbiamo alla Grecia in termini di democrazia e filosofia fatti in questi giorni, tutti si sono scordati del paesaggio rurale e quindi della nostra agricoltura.
Già dal V secolo, durante la colonizzazione greca della Sicilia, il paesaggio, almeno nelle pianure, si sviluppa secondo forme geometriche, in cui siepi, campi, vigne, muri, fossi, strade pubbliche e vicinali diversamente dal passato disegnano un paesaggio ordinato. Si tratta di forme non affidate alla spontaneità degli abitanti ma alle attività di magistrati che operano in base ad un “piano” , non ancora certo paragonabile ad i nostri piani urbanistici, ma certo con il chiaro intento di dare un ordine al paesaggio, urbano e rurale, come si vede nella Tavola di Erclea che illustra la forma dei campi del tempo. Si tratta di una visione che con l’avvento di Roma assume una dimensione nazionale e poi internazionale, soprattutto tramite la centuriazione (il cardo e il decumano di EXPO sono l’unico vero accenno a questo tema) , espandendosi poi oltre i confini dell’Italia, dopo le invasioni barbariche e riprendendo nel periodo medievale con il paesaggio ordinato che caratterizza regioni come la Toscana. Oltre ad altre colture, come quella dell’olivo, la cultura greca si esprime nel paesaggio rurale in particolare con la vigna ad alberello, spesso con i tralci che si appoggiano direttamente sul terreno, diversamente dalla coltura promiscua etrusca che dominava l’Italia centrale. La candidatura della vite ad alberello di Pantelleria nel patrimonio immateriale UNESCO, forse un po’ impropriamente dal punto di vista dell’origine storica, propone questa tecnica di allevamento. Nei secoli successivi essa diventerà il tratto tipico del paesaggio viticolo della Magna Grecia, mentre la sua evoluzione, la vite a palo secco, diverrà la forma di allevamento più diffusa in Europa. Anche per questo un viaggio in Grecia, specie nella sua parte rurale, è ancora per noi un “Grand Tour” nelle radici della nostra cultura.