Il servizio di Report sull’impiego dei fitofarmaci nell’area di produzione del Prosecco e l’articolo di stella sul Corriere della Sera riaprono una questione che va avanti da anni e che si intreccia con molti temi, alcuni generali altri più specifici. Fraquesti lo sviluppo economico del territorio rurale, il rapporto fra paesaggio, agricoltura ed ambiente, l’inserimento dell’area nel Registro Nazionale dei Paesaggi rurali Storici e la candidatura in corso per il patrimonio UNESCO, osteggiata proprio da alcuni settori del mondo ambientale. Vale quindi la pena tentare di fare un pò d’ordine. Il cittadino comune si sente infatti raccontare tutto ed il contrario di tutto: che coltivare la terra è meglio che cementificare, ma anche che sarebbe meglio essere coperti di foreste, ma anche che il bosco non si deve utilizzare, che il cibo e paesaggio sono uno dei nostri asset strategici, ma anche che abbandoniamo l’agricoltura e importiamo sempre di più dall’estero ecc.. In generale si deve ricordare che i giornali la TV devono soprattutto vendere e fare audience, non sempre c’è spazio per approfondimenti che facciano vera informazione indipendentemente dall’utente medio, per il 95% un cittadino che ha costruito la sua opinione sugli stessi mezzi di informazione e che di solito non ha idea chiara di cosa significhi coltivare la terra o un bosco. Bisogna confezionare una notizia e spesso fare diventare notizie questioni che notizie non sono. Fatta questa premessa, l’uso estensivo dei fitofarmaci in agricoltura e, più in generale, la qualità dell’ambiente è questione normata da regolamenti precisi. Se qualcuno viola tali regolamenti è bene che sia perseguito a termini di legge. L’agricoltura biologica è in grado di ridurre sensibilmente l’impiego di pesticidi, ma dobbiamo anche essere pronti a sostenere i costi di queste scelte, visto che il mercato è pieno di prodotti che non sono soggetti a regolamentazioni, che costano meno e che la gente compra. Regolamentare più severamente l’aspetto ambientale delle produzioni agricole si può sempre fare, teniamo però presente che se qualcuno dovesse ulteriormente smettere di coltivare perché l’opinione pubblica viene sollecitata in tal senso, otterremo di aumentare il ricorso a prodotti provenienti dall’estero e che possono essere liberamente importati, dato che sono assoggettati alle normative esistenti, non a quelle che vorremmo e produzioni di scarsa qualità. L’industria scoraggia già le produzioni tipiche italiane, es. grano ed olio, per questioni di costi; possiamo certo aprire un nuovo fronte anche con il vino, visto che in molti casi l’eccessiva espansione dei vigneti ha degradato anche il paesaggio, ma sarà bene fare attenzione. Le aree agricole con un buon livello di sviluppo in Italia sono meno del 24% della SAU (superficie agricola effettivamente utilizzata) , il resto è in crisi profonda, ed un terzo dell’Italia è già abbandonato da anni, c’è poi sempre l’opzione dei capannoni industriali, o di nuove vilette, come alternativa. L’agroindustria e una nutrita schiera di paesi nostri competitors alimentari non vedono l’ora che smettiamo di produrre, soprattutto made in Italy veramente italiano. Riguardo poi alle forme di tutela, il Registro Nazionale dei Paesaggi Storici ha iscritto solo le colline di Valdobbiadene, la zona legata all’area di viticoltura storica. Il registro, diversamente da altre forme di tutela, protegge infatti le aree che si sono conservate più integre nella struttura del paesaggio, proprio per garantire un certo equilibrio, senza favorire ne abbandono, ne ulteriori espansioni. Quindi, se da una lato abbiamo aspetti negativi legati ai trattamenti fitosanitari, dobbiamo anche ricordare che sulle colline di Valdobbiadene si sono mantenuti i ciglioni, terrazzamenti inerbiti, mentre invece viticolture molto più lontane dall’attenzione dei media, hanno spianato intere colline con le ruspe, distruggendo i terrazzamenti e lavorando sulla massima pendenza, grazie a trattori molto potenti, causano una erosione maggiore e maggiori rischi di frane ed alluvioni, ugualmente causa di danni alle persone e alle cose. Riguardo alla candidatura UNESCO del Prosecco, vedremo come andrà. In generale, se la questione ambientale fosse comunque usata strumentalmente finendo per limitare le candidature italiane, sicuramente i Francesi con i loro molteplici siti vitivinicoli e la Cina, ormai ad un passo da noi come numero di siti iscritti, non ne sarebbero così dispiaciuti.